Qualche mese fa Orlando, 18 anni, si è tolto la vita perché gay e stanco di essere vessato dai coetanei. Nel 2021, essere “diversi” costa ancora fatica e spinge alcuni ragazzi, dopo tanti sforzi per essere se stessi, a mollare.

Di chi è la responsabilità?

La mia risposta risoluta: delle storie.

Le storie in cui siamo immersi da quando nasciamo ci portano a conoscere – o a non conoscere – l’Altro. Le storie sono ovunque: nella religione, nell’educazione che impartiamo ai bambini attraverso racconti vari, nella pubblicità, ovunque. Quando la narrazione è “a specchio”, cioè il lettore (o lo spettatore) si deve poter riflettere in essa senza turbamenti, ecco che l’Altro diventa pian piano un’ombra sullo sfondo. E le ombre, per definizione, sono minacciose e avverse, da combattere per affermarsi e vincere.

Nell’accademia inglese si fa per questo una distinzione precisa tra IMMEDESIMAZIONE e IDENTIFICAZIONE.

La prima porta empatia, la seconda porta autismo narrativo.

Se le storie da cui vengo circondato mi assomigliano, se mi “identifico” in esse, ecco che l’Altro diventa Altro da Me, distante, pericoloso perché minaccia la mia identità che, grazie alle narrazioni che me la confermano, è statica e composta di quattro elementi inamovibili a cui mi aggrappo per non affogare.

Tutto il mercato dell’editoria per ragazzi e dei contenuti per bambini gira intorno al concetto dell’identificazione, al momento. Perché l’identificazione vende. Vende agli adulti. Quando un genitore entra in libreria o scrive su un gruppo che vuole un libro per “una femmina di 10 anni che ama i cavalli ed è timida” sta chiedendo uno specchio narrativo, non un’esperienza letteraria che crea apertura mentale. Nello specchio mi riconosco e smetto di avere paura di me stesso, delle mie sfumature, delle mie imperfezioni, perché posso avere paura dell’Altro e sfogarmi su di esso.

Odiare l’Altro, o almeno diffidare e distanziarmi da esso, mi permette di amare me stesso. I libri in cui il gay fa il gay, le bambine sono ribelli a comando, i maschi fanno i maschi, ognuno è al proprio posto e la diversità viene presentata solo come un argomento scolastico, creano i presupposti per la morte di ragazzi come Orlando, per il femminicidio, per il razzismo, perché non fanno altro che ribadire che l’Altro è un problema e come tale va gestito.

Sono esagerata? No. Provate voi a proporre a un editore per ragazzi un romanzo in cui ci sono uno o più personaggi gay che interagiscono normalmente con gli altri, senza che vi sia evidenziato un “PROBLEMA” che possa essere discusso in classe. I personaggi delle storie che proponiamo ai bambini non rispecchiano la realtà ma il lettore – cioè, l’idea che del lettore ha l’adulto di riferimento, il quale vuole che legga solo ed esclusivamente narrazioni che confermino quell’idea.

Sei femmina leggi libri da femmina, sei maschio leggi libri da maschio, se sportivo leggi libri da sportivo, e così via. A compartimenti stagni. Questo è autismo narrativo. L’Altro è escluso dall’orizzonte personale per sempre. L’Altro è pericoloso. Non leggo storie sull’Altro perché non mi riguardano. Perché non mi interessano. Non c’è interesse per l’Altro, al massimo un interesse didattico imposto per il tempo di un progetto scolastico o di un’interrogazione.

Ma per includere l’Altro bisogna IMMEDESIMARSI in lui. Vestire la sua pelle. Camminare con le sue scarpe. A questo servono le storie. Per questo nessuno dovrebbe mai leggere narrazioni a specchio, nessuno dovrebbe mai cercare se stesso nelle storie ma sempre l’Altro. È attraverso l’Altro che conosciamo noi stessi in profondità. Lo specchio invece crea un abisso emotivo fatto di infinite fragilità mascherate da identità.

Quando affermo: io sono così, lo faccio distinguendomi dall’Altro.In realtà, ognuno di noi è il riflesso dell’Altro, e questo fa un sacco di paura. E le paure si affrontano. Come? Con le storie. Quelle che parlano dell’Altro e di Noi. E lo specchio lo lasciano alle matrigne egocentriche.

Pensateci quando entrate in libreria in cerca di libri su misura. Chiedetevi: su misura di chi? Un bambino che cresce senza la misura dell’Altro è un bambino menomato. Che può arrivare a odiare l’Altro proprio perché gli ricorda con violenza la propria inspiegabile menomazione.Se un libro parla di una bambina di dieci anni timida che ama i cavalli, sarà proprio la bambina reale di dieci anni timida e che ama i cavalli che dovrà preferibilmente leggere ALTRO.

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