Se fossi nata nel 2015 probabilmente a quest’ora avrei appiccicata addosso una bella etichetta di ADHD. Invece sono nata nel 1975, per fortuna, e me la sono cavata per anni con vari “è molto vivace”, “è intelligente ma non si applica” e qualche voto di condotta non proprio eccellente.

Quando mia madre, esausta ed esasperata, chiese consiglio alla mia maestra, questa le rispose: “I vulcani non si coperchiano. Dobbiamo solo capire come limitare i danni”. Frase che ha caratterizzato la mia esistenza da vulcano iperattivo, irruente e sregolato. Imparare a limitare i danni.

Gli adulti intorno a me hanno sempre rispettato la mia indole vulcanica ma con mano ferma mi hanno dato regole, responsabilità, doveri e strumenti per non diventare una piaga sociale. Qualcuno poi ha confessato. La mia prof di italiano delle medie, anni dopo, mi rivelò che quando me ne andai al liceo loro fecero festa, ma sul serio, con spumante e pasticcini.

Oggi continuo felicemente la mia vita di piccolo vulcano attivo che quando erutta, erutta. Ma sono eruzioni che fertilizzano il terreno… mi ritrovo iscritta a un corso di qualcosa a Oslo, o fondo un’associazione, o avvio cento progetti insieme, o compro libri in lingue che non conosco e li traduco col vocabolario….

Gli iperattivi sono quelli che cambiano il mondo, trascinano, scuotono. Di loro c’è un gran bisogno, ma non c’è affatto bisogno di etichette che li soffochino. Perché i vulcani hanno il diritto di cambiare forma quando sentono che sono stanchi ma l’etichetta condiziona. Ti dice “sei così e basta” e ti confina, ti limita, ti insegna a stare entro quei limiti a cui finisci per credere incondizionatamente.

Gli unici limiti che i bambini dovrebbero avere sono le regole del vivere civile, ma per il resto, quando si è piccoli, cambiare forma ed esplorarsi dovrebbe essere un diritto.

Io sarei stata un’ADHD, probabilmente. Qualcuno avrebbe suggerito lo psicologo. Qualcuno magari avrebbe suggerito dei farmaci. La scuola mi avrebbe bollata e dato un ruolo. E invece no. Ho scorrazzato libera e ho avuto accanto tanti adulti in gamba che mi hanno fatto da mentori, aiutandomi a capirmi, e si sono fatti un mazzo quadrato per me.

È il motivo per cui guardo con molta diffidenza un mondo adulto che delega alle etichette il proprio ruolo di guida per i più piccoli e che è divorato dall’ansia di normalizzazione. Con moltissima diffidenza e biasimo. Il mondo ha bisogno di tutta la diversità possibile e i bambini nei recinti sono lo spettacolo più triste del nostro millennio.

(nella foto, gruppo degli esami di quinta elementare…indovinate quale sono. E tra l’altro, nessun codice di abbigliamento genderizzato divideva i maschi dalle femmine).

“Ehi! Stiamo facendo la foto e manchi solo tu!”
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