Me lo chiede un aspirante scrittore, e mi spiazza: è un problema voler fare lo scrittore per ragazzi ed essere dichiaratamente gay? Entro in una spirale di riflessione che mi porta ad approfondire l’argomento. Vorrei dirgli di no, che non è un problema, che non lo è più. Ma non posso, so dentro di me, per istinto, che non è (ancora) così. Non mi viene in mente nessun autore o autrice italiani per ragazzi che abbiano fatto coming out, e questo è un segno.
E faccio quello che faccio sempre quando una domanda mi turba: ricerca in inglese. Children’s books gay authors. Esce una lunga lista di articoli sull’argomento e scopro del coming out tardivo di diversi autori che consideriamo dei classici. Come Louis Fitzhugh, autrice di Harriet la spia, e Maurice Sendak. Nessuno di loro ha potuto vivere liberamente la propria omosessualità, perché, come dichiara Sendak
essere apertamente gay in quegli anni avrebbe danneggiato la mia carriera.
In un lungo articolo, il New York Times esplora la storia della letteratura per ragazzi scritta da autori omosessuali non dichiarati o dichiarati in tarda età. Come Sendak. Per tutti il mantra è stato lo stesso: andare nelle scuole da gay dichiarati era impossibile. L’autore per ragazzi vive soprattutto grazie alla circolazione dei libri nelle bibliografie per gli insegnanti, nei progetti di lettura e attraverso gli incontri con le classi: vale in Italia come nei paesi anglosassoni da cui traduciamo molto. E l’immagine che l’autore porta in quel contesto deve essere – senza mezzi termini – a prova di protesta.
Tempo fa lessi invece di un pluripremiato autore per bambini olandese, Ted van Lieshout, che non solo è dichiaratamente gay ma ha ricevuto un premio per il romanzo in versi per la fascia +11, Zeer kleine liefde, in cui racconta il suo primo amore adolescenziale con un uomo più grande di lui. Nel contesto dell’editoria olandese, collocabile nella cultura di paesi nordeuropei che hanno nei confronti dell’infanzia un approccio decisamente meno imbrigliato in un’astratta e spesso falsata idea di innocenza, van Lieshout trova quindi una propria voce su un doppio piano, quello reale e quello narrativo. È libero di essere se stesso ma anche di raccontare le proprie esperienze di ragazzino gay. Un altro pianeta e che peccato non essere nati in Olanda.
Di sicuro è impensabile sperare che un domani, anche molto lontano, l’editoria italiana possa anche solo avvicinarsi a questo modello. Ma al momento è assente anche una riflessione generica e generale sulla letteratura italiana per ragazzi “queer”, come quella proposta dal NYT. Ci sono molti libri che affrontano l’argomento dell’identità sessuale, come il mio Nei panni di Zaff, ma questa apparente libertà non ha poi un corrispettivo nell’ammissione di più voci che questo argomento lo rappresenterebbero direttamente.
E bisogna anche considerare che più si sale di fascia d’età e più l’argomento “gay” diventa di nicchia, relegato nella letteratura LGBTQ specifica in modo che non riesca a raggiungere un pubblico eterogeneo, o diventa un “issue book” in cui l’omosessualità viene analizzata solo in quanto “problema”.
La strada da fare è quindi ancora tanta. Ma in che direzione? L’apertura che vedo è solo di facciata, al momento, tanto che non mi sono sentita di rassicurare l’aspirante scrittore. Sì, dovrebbe porsi il problema, esattamente come se lo pose Sendak ormai tanti decenni fa. Sì, dovrebbe pensare a come presentarsi, dal momento che nelle scuole non lo vorranno se il suo matrimonio omosessuale salta fuori dai social. Sto suggerendo che è giusto nascondersi? No, certo che no.
L’alternativa è una lunga battaglia che non tutti hanno voglia o forza di affrontare. Lo vedo tutti i giorni con le mie storie, con il mio ultimo romanzo, “Cris”, che nelle scuole fa fatica a entrare. Perché ho dovuto mettere anche la storia omosessuale? Non è un po’ troppo? mi ha chiesto qualcuno. Non si poteva evitare?
No, non si poteva evitare. Lo richiedevano la storia, il personaggio, e forse anche i lettori che non conosco personalmente ma so in che mondo complesso vivono. Un mondo in cui i recinti sono meno visibili, forse, ma i pregiudizi no. Perciò accetto di combattere su questo lato del fronte: venderò meno libri, andrò meno nelle scuole, ma va benissimo così.
E anche per questo penso che sia importante sapere che Maurice Sendak fosse gay. Che abbia deciso, in tarda età, di dirlo apertamente. Perché i pregiudizi si combattono solo e soltanto con i fatti – e con lunghe a faticose battaglie che non tutti hanno voglia o forza di affrontare.