Ho imparato questa parola durante il dottorato e non l’ho dimenticata più: aetonormativity. È stata coniata di recente da Maria Nikolajeva, accademica dell’Università di Cambridge che studia letteratura per l’infanzia, e significa più o meno “la serie di regole che ci dicono come comportarci in base alla nostra età”.

Fin da piccoli siamo abituati ad aderire all’aetonormativity, cioè a fare le cose consentite per l’età che viviamo in quel momento. A partire dalla scuola, che ci cataloga non per interessi, QI o propensioni personali, ma sempre è solo in base all’età.

È un retaggio che ci viene dalla prima era industriale. La burocratizzazione della società, necessaria al rapido sviluppo di quell’epoca, impose anche una rapida catalogazione degli esseri umani e l’età, sopratutto per gestire l’infanzia sregolata e variegata, fu uno degli elementi di maggiore interesse. A partire dalle leggi stesse per la protezione dell’infanzia, che cominciarono a regolare la vita dei bambini a secondo dell’età.

Ma per tanti versi oggi l’aetonormativity può diventare una trappola di normalizzazione forzata e rendere difficile capire se un bambino si comporta in un certo modo in accordo con il proprio sviluppo o semplicemente perché sa che è ciò che ci aspetta da lui. Del resto siamo passati da bambini di 9 anni che entravano in marina a bambini di 9 anni che non attraversano nemmeno la strada da soli, in pochissimo tempo.

Anche noi adulti non siamo immuni all’aetonormativity e subiamo la pressione costante di ciò che la società si aspetta da noi a secondo dell’età che abbiamo. Le classiche e fastidiose domande – “quando ti laurei”, “quando ti sposi”, “quando fai i figli” – ne sono un esempio, ma spesso la pressione è più grande se riguarda le nostre passioni, a cui siamo chiamati a rinunciare se non sono giudicate adatte alla nostra età per qualche motivo.

In editoria per bambini il concetto di aetonormativity è strettamente legato al sistema delle fasce d’età. Stabilire quale libro sia più adatto a un lettore non in base – di nuovo – ai suoi interessi, alle sue reali capacità cognitive o alla sua reale maturità ma in base all’età è diventata una prassi così sdoganata da non essere più nemmeno messa in discussione. Imporre una lettura solo su dati anagrafici è l’unico sistema che genitori, educatori, insegnanti hanno per consigliare i libri.

Una volta fu chiesto a Aidan Chambers quale fosse il suo libro preferito da ragazzino. Lui rispose: “L’amante di Lady Chatterley”. Gli fu obiettato che non è un libro per bambini e lui aggiunse, sagace: “Ma è il libro che volevo leggere a 12 anni”. Ho sempre pensato che Chambers avesse ragione, il libro adatto è quello che abbiamo voglia di leggere. E l’aetonormativity ci impedisce davvero di esplorarci come esseri umani, di capire se i limiti che viviamo sono imposti o reali; se quello che facciamo lo sentiamo davvero o è solo un modo per soddisfare le aspettative di chi ci circonda. Sia da bambini che poi, con altre modalità, da adulti.

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