Ne hanno parlato tutti, ovunque, per tutta l’estate 2023. Non è una novità che un brand di giocattoli si lanci in un’operazione cinematografica (vedi i Lego Movie) ma la vera novità è l’immensa operazione di marketing che ha accompagnato l’uscita di questo film che ci siamo sentiti tutti obbligati ad andare a vedere.

E ci sono andata anch’io, con aspettative così basse che non pensavo potessero essere deluse. Gli ingredienti per un guazzabuglio ideologico c’erano tutti: una bambola pinup che ci parla di emancipazione, la demonizzazione dei maschi come esseri inutili o decorativi, il rosa accecante, la regista femminista e la confezione patinata e stucchevole tipica della cultura americana più consumista e kitsch. Ho pensato di non uscire viva dal cinema.

Ma non pensavo che le mie aspettative già basse potessero essere deluse. Ed è qui che il film mi ha stupita veramente.

Il sentimento principale che ho provato durante i primi 15 minuti è stato l’imbarazzo. Ero imbarazzata soprattutto per l’enorme quantità di spiegoni didascalici e per le prediche ideologiche spiattellate come in un documentario di qualche regime totalitario in rosa.

A un certo punto la voce narrante (che si sente totalmente a caso e non si capisce a chi appartenga) spiega persino: “Le Barbie non usano le scale perché si muovono con la forza dell’immaginazione di chi ci gioca”. E si vede Margot Robbie che vola dal tetto. La regista crede che siamo idioti, evidentemente.

Sono uscita dalla sala tra il basito e il disgustato, incapace di credere che decine di persone nella mia “bolla” avessero trovato questo film femminista o anche solo vagamente interessante. Il clou è stato quando ho letto da qualche parte che il femminismo è garantito dal fatto che Barbie alla fine non si innamora di Ken.

Alla fine ho tradotto il mio imbarazzo in un’analisi razionale e in tre punti distinti per cui questo film è per me totalmente da bocciare. Meglio rivedersi “Thelma e Louise” o “La rivincita delle bionde“, se proprio abbiamo bisogno di ribadirci certe cose.

  1. È un film classista

Non esistono Barbie Povera o Barbie Mutuo Arretrato o Barbie Mamma Single, ovvio. L’emancipazione chiaramente passa per i soldi, secondo Greta Gerwig, e tutte le Barbie hanno case magnifiche, auto da sogno e vestono Coco Chanel. L’ideale femminile veicolato è quello delle Desperate Housewives con una carriera, ed essere donne si riduce ad alternare una vita di comando vecchio stile, ricalcato paro paro dal modello maschile, a una serie di attività frivolissime tra lussi esagerati. Si certo, è un mondo perfetto quello di Barbieland… ma se c’è la Barbie Cicciona e quella Disabile, perché non la poveraccia?

La foto di Barbie Disabile del film non si riesce nemmeno a trovare in rete.
Un cameo tanto per farci sentire woke.

2. L’obbligo alla bellezza è il primo valore veicolato in tutto il film

Barbie, dopo un vago accenno alla morte che le causa una lieve inquietudine, si decide ad andare in missione solo quando le viene la cellulite e non riesce a stare sui tacchi con i piedi piatti.

La bellezza è l’imperativo a Barbieland e nemmeno la Barbie Cicciona può scalfirla. Nessuna Barbie mostra imperfezioni e lo stile è quello da influencer: sempre truccate, sempre con i capelli perfetti, sempre vestite in modo sterotipicamente femminile. A parte Barbie Strana, certo. Che appunto è Strana e fa tipo la strega eremita, presa un po’ in giro da tutte, c’era da dirlo?

In una scena, Barbie nel mondo reale vede un’anziana seduta su una panchina e le dice: “Sei bellissima” (con le lacrime agli occhi). E la vecchia le risponde: “Lo so”. Altra lezioncina per dirci “siete tutte belle” e ovviamente a dircelo è una strafigona patinata. Il punto è: ci frega di essere belle? E perché? Il film non dà risposte su questo.

3. Il maschile e il femminile sono ridotti a stereotipi grotteschi e irrealistici

Ok, l’esagerazione ideologica ci starebbe pure: mostro il peggio del maschile e del femminile per enfatizzare il tema. Ma qui si rasenta il ridicolo, anzi, ci si finisce in mezzo come in una palude. Le Barbie fanno le serate tra donne. Come? Certo non si danno al cinema d’essay e nemmeno alle letture impegnate. Gridolini e pigiamini fru fru come le Delta Nu de “La rivincita delle bionde”.

Quando gli uomini cercano di aderire al patriarcato, spinti da Ken? Birre a tutte le ore, cavalli (?) e pacche sulle spalle. Pacche riceve anche Barbie nel mondo reale: le inquadrature ad altezza culo di Margot Robbie servono a farci vedere che appena mette piede qui da noi, piovono manate da sconosciuti per strada, come se non potessero resistere o fossero dei dementi.

Se fossi un uomo mi verrebbe da dire: “A Margò, ma chittesincul…”.

A questi tre elementi chiave bisogna aggiungere senz’altro che:

  • il film è a tutti gli effetti uno spot pubblicitario di due ore, ammantato di progressismo woke
  • ciò che spinge, oltre la Barbie, è il merchandising disponibile nel mondo reale, dalle Birkenstock rosa alla borsa di Coco Chanel, agli occhiali e i vestiti rosa che possiamo trovare da Zara o in rete o in altri negozi che hanno comprato la licenza in previsione dell’uscita del film
  • non esiste una struttura narrativa, le scene sono incollate a caso tra la pseudomissione per salvare il mondo e il pippone pseudofemminista
  • si possono contare almeno dieci personaggi inutili che affollano la trama altrettanto inutilmente
  • la ragazzina un po’ emo, alla fine perde la sua personalità e si ritrova vestita di rosa e, ma guarda, improvvisamente felice di essere al mondo adesso che si è conformata…
  • i famosi balletti fanno oggettivamente pena. Anche solo quelli di Dirty Dancing vincono 100 a 0
  • i dialoghi sono vuoti, insignificanti
  • è palese che ogni singolo membro del cast sia lì non per fare la storia del cinema ma per arricchirsi. Manipolando milioni di ragazzine e di donne adulte che hanno deciso di farsi manipolare, per misteriose ragioni.

Quindi se avete qualche euro da spendere, invece che al cinema andate dalla pedicure per farvi uno smalto alle unghie. Avrete raggiunto il massimo dello spirito del film ma facendo guadagnare una onesta lavoratrice invece che un manipolo di vips americani in rosa.

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