Uno dei grandi dilemmi che affronto come scrittrice per ragazzi è la censura sulla sessualità, sul corpo, sul sesso. Soprattutto dalla fascia dei pre-adolescenti in poi, il dilemma diventa enorme perché ciò che si richiede agli scrittori, in generale, è di omettere e fingere che certi aspetti della crescita non esistono.

Ma ciò che davvero rende il dilemma ambiguo e pesante da sopportare è il fatto che i bambini possono vedere film per grandi con argomenti da grandi;

hanno il cellulare con accesso libero a internet e le statistiche dicono che il porno è una delle cose che guardano di più fin da tenera età;

vengono vestiti come i grandi, soprattutto le bambine: si possono truccare e anche mettere i tacchetti. I maschi guardano le donnine scollacciate in TV e le scene sessualizzate della pubblicità.

Ma non possono leggere di sesso e sessualità nei libri. Gli adulti protestano solo quando si tratta di carta stampata.

Risultato: i protagonisti dei libri per ragazzi sono in genere asessuati. Harry Potter, per esempio, lo è fino a 18 anni, arriva al matrimonio senza nessuna esperienza relazionale e sessuale rilevante. Tutti i personaggi dei libri per i ragazzi delle medie sono completamente disinteressati al proprio corpo e al sesso. È ben visibile la mano tremula degli adulti fifoni. Ma di cosa hanno paura, i grandi? Senza il sesso, i bambini nemmeno ci sarebbero….

L’effetto più devastante di questa omissione è, a mio parere, una delle cause principali per cui anche bambini lettori forti smettono di leggere una volta arrivati alle medie. Abbandonano le letture infantilizzate piene di schiappe asessuate ed eroi senza pulsioni e passano a Netflix, ai videogiochi, ai contenuti su internet. Il che è umanamente comprensibile.

 I libri a un certo punto fanno contenti i grandi terrorizzati dalla crescita (o dalla parola scritta?) ma rinunciano a quel ruolo bellissimo di spiriti-guida attraverso le varie fasi della vita, attraverso le mille emozioni e sfumature dell’essere vivi. Di cui la sessualità fa parte.

Per noi scrittori, per alcuni di noi, almeno, il dilemma è grande perché quell’omissione, quella rinuncia, quell’abdicare il ruolo in favore di altri media significa di fatto mentire. Costruire storie in cui quell’assenza è centrale, e visibile, ma universalmente accettata come inevitabile.

Ma è davvero così? È questa la strada più giusta per costruire un futuro di lettori forti e consapevoli?

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